Voce critica del design, maestro dell’autoprogettazione, padre di oltre 1.500 prodotti, Enzo Mari è scomparso lo scorso ottobre all’età di 88 anni e ci ha lasciato una duplice eredità: da una parte è stato per noi una grande fonte di ispirazione nell’approccio progettuale che ci caratterizza e utilizziamo da sempre, dall’altra ci ha regalato una serie di testi stimolanti e formativi per la nostra attività. La sua scomparsa ci ha stimolato a rileggere un suo testo fondamentale, 25 modi per piantare un chiodo e a dedicargli il primo articolo del nostro blog.
Inoltre, Enzo Mari se n’è andato due giorni dopo l’inaugurazione di una grande retrospettiva alla Triennale di Milano,che sarà visitabile fino al 18 aprile 2021. La mostra, a cura di Hans Ulrich Olbrist, documenta il lavoro del progettista attraverso progetti, modelli, disegni e materiali spesso inediti, provenienti dall’Archivio Mari, recentemente donato al CASVA – Centro di Alti Studi sulle Arti Visive del Comune di Milano.
Trasferitosi a Milano dalla nativa Cerano, in provincia di Novara, Enzo Mari (27 aprile 1932 – 19 ottobre 2020) frequentò l’Accademia di Brera, legandosi presto al gruppo di artisti che avevano dato vita alla corrente dell’Arte Cinetica e Programmata, e, nel 1955, aderì al MAC (Movimento di Arte Concreta) con Max Bill e Bruno Munari. Quest’ultimo decretò la fine della pittura sostenendo che la creatività dovesse essere convogliata verso la produzione di oggetti d’uso su scala industriale, ed è così che Enzo Mari si avvicinò al design. Ma ci fu anche un’altra forte motivazione a indurlo a optare per questa scelta di campo: la sua fede politica. Mari, infatti, ha sempre visto nel disegno industriale un portatore diretto dello spirito del socialismo, che lo condurrà, ben presto, a sostenere la necessità dell’autoprogettazione e dell’autoproduzione.
È abbastanza difficile parlare di Enzo Mari, perché era sicuramente un grande designer, ha progettato prodotti di grande successo, ma si potrebbe dire suo malgrado. Mari infatti ha sempre sostenuto che un designer dovesse avere un ruolo politico, e che non dovesse limitarsi a disegnare merci. Inoltre è sempre stato mosso dalla convinzione che progettare corrisponda a una pulsione profonda insita in ogni essere umano. Una convinzione che lo ha portato, negli anni Sessanta, a rivoluzionare il concetto di design, realizzando, con coerenza, un’«utopia democratica»: disegnare e produrre oggetti belli e utili per la gente comune, fino ad allora esclusa da un’arte ritenuta elitaria.
Contrario alla logica del design come moda e al consumismo dei nostri tempi, Mari mette al centro dei suoi progetti non solo la funzionalità, l’aspetto estetico e l’efficienza dei materiali, ma soprattutto il metodo con cui viene definito un determinato oggetto. Per lui il pensiero e il processo di creazione di un oggetto sono più importanti dell’oggetto stesso. Nessun oggetto deve essere fine a se stesso o autoreferenziale, il suo compito è durare nel tempo e saper coinvolgere la persona che lo utilizza come parte attiva del processo. Progettare per Mari non è solo creare oggetti belli, ma un vero e proprio atto etico e sociale. Sono nate così creazioni che non sentono l’usura del tempo, libere dalle mode, la cui «anima» risiede nella qualità della forma e in un costante lavoro di ricerca.
Nella sua lunghissima carriera, Enzo Mari ha progettato oltre 1.500 oggetti e manufatti vari, molti dei quali sono entrati nell’uso comune. Probabilmente come lui avrebbe voluto, e come è giusto che sia: non esibiti nel posto sbagliato, ma semplicemente usati per la funzione per cui erano stati pensati. Quello che alla fine dovrebbe essere l’obiettivo del design.
Dall’Autoprogettazione alla sedia d’autore smontabile in kit
Parlare di Enzo Mari elencando i prodotti che ha disegnato suona quindi davvero riduttivo. Milanese di adozione, ha condiviso con Milano tutti i passaggi della storia contemporanea, dall’autunno caldo, alla crisi petrolifera, agli anni bui del terrorismo, al “riflusso” degli anni Ottanta. Periodi che si riflettono nei suoi progetti, come designer e come artista. Nel 1974, per esempio, con la mostra Proposta per un’autoprogettazione alla Galleria Milano, Mari cercava di costruire qualcosa di alternativo al “sistema delle boutique di design”, come già chiamava il sistema design con la filiera design-produzione-vendita in negozio esclusivo.
Il catalogo della mostra conteneva pochi pezzi semplici di arredamento che chiunque poteva costruirsi a casa usando legno, martello e chiodi. Il disegno era volutamente semplicissimo, in modo che anche se il taglio delle assi non era precisissimo, il mobile si assemblava lo stesso. Nel volume pubblicato da Edizioni Corraini nel 2002, Autoprogettazione? erano incluse diverse lettere di persone che si erano costruite i mobili seguendo le istruzioni del catalogo Proposta per un’autoprogettazione, tutte estremamente soddisfatte per il risultato e per il rapporto qualità/prezzo. Il libro rappresenta uno stimolo (e una provocazione) per legare la creatività alla capacità costruttiva di ognuno, seguendo e/o modificando la traccia data dai disegni progettuali di Enzo Mari per la realizzazione di una sedia, un tavolo, un armadio, un letto.
Agli inizi degli anni Settanta, Enzo Mari aveva progettato per Driade la sedia Box, una sedia smontabile in soli otto pezzi, con una seduta perforata di polipropilene stampato a iniezione e una struttura smontabile di metallo tubolare, venduta in una scatola e trasportabile in un sacchetto, con lo scopo di solleticare di nuovo la vena progettuale che è in ciascuno di noi. Perché fin dall’inizio degli anni Settanta Mari aveva sempre pensato che tutti potessero e dovessero progettare. Diceva infatti, che se la parola italiana per design era progetto, un motivo ci doveva essere. La sedia Box ebbe un successo immediato, anche perché si inseriva perfettamente nella tendenza nata negli anni Sessanta di fornire mobili smontati e confezionati in contenitori facilmente trasportabili. E’ stata in seguito rieditata nel 1996.
Gli oggetti di Enzo Mari entravano nella storia ancora prima che nei negozi
Tra la miriade di oggetti da lui progettati, alcuni sono entrati nella quotidianità, e probabilmente moltissime persone hanno usato oggetti progettati da Enzo Mari senza saperlo. Dai 16 Animali di Danese, al Gioco delle Favole di Edizioni Corraini, alla sedia Tonietta di Zanotta, alle sedie Sof Sof o Delfina di Driade, ai calendari perpetui progettati per Danese, compagni di tutti gli uffici dagli anni Sessanta.
Enzo Mari, una storia di oggetti
Orgoglioso di essere un «ingenuo cronico», Mari non esita a gridare che oggi il design è nudo ma, proprio in virtù del suo senso di verità, non cessa di essere ottimista: dopotutto un progetto nasce «quando quello che vediamo fuori dalla finestra ci appare orrendo, sbagliato o falso. È in quel momento che si determina la sua “necessità”, come reazione a ciò che non è giusto».
Mari manifestava disprezzo per la mercificazione degli oggetti – e in alcuni casi le sue ragioni avevano senz’altro un fondamento – perché riteneva che gli oggetti dovessero essere prima di tutto progetti. Progetti perché avevano un scopo, non erano “imitazioni, eseguite senza capire”. In diverse interviste, lui dichiarava che un oggetto aveva la stessa forza espressiva di un’opera d’arte, e che doveva parlare con la sua essenza. Deve esserci riuscito, se alcuni dei suoi progetti hanno davvero migliorato la vita quotidiana di milioni di persone, e sono stati premiati con cinque Compassi d’Oro.
Sedia Tonietta, di Enzo Mari per Zanotta
(Immagine in evidenza: Ritratto di Enzo Mari ©Ramak Fazel)
Omaggio a Enzo Mari
Ho letto con molto interesse questo vostro primo articolo, mi sono subito appuntata il libro di Mari da voi suggerito “25 modi per appendere un chiodo” e sarà sicuramente la mia prossima lettura. Indubbiamente personaggio illuminato del suo tempo e del nostro, sempre attuale nelle sue intuizioni di arredo, davvero una delle più belle personalità del design italiano nel mobile e non solo. Grazie per la lettura piacevole, aspetto con gioia il vostro prossimo articolo.